Per la prima volta nella mia vita ho potuto documentare il soccorso in mare di naufraghi.
86 persone provenienti da Gambia, Ghana e Bangladesh, alle sei del mattino, si sono imbarcate a bordo di un gommone da ez Zauia, Libia.
Il gommone su cui questi ragazzi hanno scommesso la vita, quasi tutti sotto i 25 anni, non aveva nessuna speranza di raggiungere l'Italia. Queste imbarcazioni, vendute a caro prezzo da criminali in Libia, non hanno chiglia, il fondo è piatto, composto da una sottile tavola di compensato e due tavole longitudinali di legno, che servono a non fare spezzare subito il gommone. La mancanza di una chiglia in grado di fendere l'acqua impedisce di mantenere qualsiasi rotta. Li abbiamo trovati a circa trenta chilometri dalla costa.
Per partire hanno atteso che le condizioni meteo diventassero favorevoli, ma se non li avessimo trovati stamattina, a quest'ora probabilmente sarebbero già morti annegati. A undici ore di distanza dalla loro partenza il mare si è già ingrossato in modo spaventoso.
C'era solo una donna a bordo. In Gambia era un agente di polizia. Gli ordini per lei erano di sedare le proteste contro il presidente uscente, che non se ne vuole andare. Contraria agli ordini, l'avrebbero uccisa, così se n'è andata.
Gli altri, giovanissimi, sono venuti in gruppi, già si conoscevano prima di partire. In Libia hanno tutti subito la schiavitù. Lavoro nei campi, o negli alberghi, quindici ore al giorno, in cambio di niente.
Sono stato inondato da una quantità di vita colossale. Credo che sia questo che più mi scuote. Incontrare ragazzi nel pieno di un'esperienza di vita inconcepibile, viverla con resistenza, resilienza e fiducia, appesi a un filo. Avremmo molto da imparare; ci sono ancora molte esperienze da fare.